Terapia del dolore acuto e cronico - Francesco Cacciola

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Terapia del dolore acuto e cronico

Il primo passo: Capire la causa del dolore e informare il paziente.

Come si svolge l’incontro con un paziente con dolore ?

Nell’incontro con un paziente che soffre di dolore è fondamentale inquadrare correttamente il tipo di dolore e spiegare le cause e la strategia per il trattamento nella maniera più chiara possibile

Occorre, pertanto, dedicare un periodo di tempo adeguato all’incontro e ascoltare attentamente la storia e l’andamento dell’attuale problema, come il paziente lo descrive. 

Siamo di fronte a un dolore acuto o cronico

Il dolore è collegato a un danno strutturale o meno ?

Ci sono, o ci sono stati, eventi o circostanze precipitanti il dolore? 

Nel caso di un danno strutturale, si tratta di un dolore neuropatico o nocicettivo ?

In assenza di un danno, si può essere in presenza probabilmente solo di un una contrattura dolorosa o di una sensazione alterata dopo la riparazione di un danno ormai riassorbito, ma che viene percepito sempre come dolore ?

Queste sono solo alcune delle considerazioni da prendere in esame di fronte al dolore, che è un fenomeno tutt’altro che semplice e scontato. 

Basta guardare alla definizione del dolore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): «Il dolore è una sensazione spiacevole e un’esperienza emotiva dotata di un tono affettivo negativo associata a un danno tessutale potenziale o reale e, comunque, descritta in rapporto a tale danno».

Il dolore è quindi, innanzitutto, una “sensazione”, un’ “esperienza”, e solo in un secondo momento diventa rilevante un danno tessutale che può essere reale o anche solo potenziale. 

A causa della complessità del  “fenomeno dolore”  si parla, infatti, spesso anche di un modello Bio-Psico-Sociale per cercare di includere tutte le varie sfere e ambiti che contribuiscono a generare e propagare la sensazione del dolore. 

La parte “Bio” comprende tutte le componenti strutturali del “sistema corpo”, ovvero una ferita o una rottura di un organo o di un apparato tessutale, a seguito di un trauma, di un’infezione o di un tumore, per fare qualche esempio. 

La componente “Psico”, invece, afferisce a tutto quanto si svolge a livello psicologico quando compare il dolore: sensazioni come paura e stress, sino ad una vera e propria “disperazione” suscitata e alimentata dal dolore. 

Il risvolto “Sociale”, infine, riguarda tutto il contesto in cui viviamo e come esso influisce sul dolore. In questo caso, degli amici o una famiglia coesa e supportiva possono aiutare molto a ridurre il malessere e la percezione del dolore, un lavoro che ci piace magari ci distrae dal dolore, mentre uno che odiamo  lo aumenta. Anche il contesto ambientale può influire sul dolore, con  alcune culture in cui il dolore viene manifestato più apertamente, mentre in altre sentirsi male e manifestarlo rappresenta quasi un tabù in quanto segno di debolezza. 

Queste considerazioni si rivelano di capitale importanza nell’affrontare così come nell’inquadrare il dolore, per poi ragionarne con il paziente.  

L’analisi del dolore con il paziente, ovvero la comprensione del perché del dolore e di ciò che significhi per lui/lei, è infatti un passo fondamentale nella sua gestione. Chi deve ultimamente convivere con il dolore è proprio il paziente, e una buona e approfondita conoscenza è premessa fondamentale per la più serena possibile convivenza! 

Risulta, quindi, evidente che la semplice prescrizione di una “cura” a base di farmaci o manovre più o meno invasive spesso tiene conto soltanto di un segmento insufficiente del complesso fenomeno che è il dolore, specie se presente da molto tempo e in seguito a diversi tentavi terapeutici fallimentari. 

L’incontro con il paziente afflitto da dolore deve essere mirato, strutturato secondo linee ben precise e approfondito ed esaustivo per individuare tutti gli elementi necessari alla sua comprensione e a un successivo trattamento che sia efficace.

 

Il secondo passo: Impostare un trattamento adeguato per il dolore

La terapia farmacologica del dolore

La terapia farmacologica del dolore è un campo esteso ed in continua evoluzione, anche se alcune sostanze principalmente in uso risultano le medesime da lungo tempo.  

Per fare ordine e facilitare la comprensione, distinguiamo due aspetti:

  • La tipologia dei farmaci antidolorifici (gruppi di farmaci antidolorifici)
  • Le modalità e le vie di somministrazione dei farmaci antidolorifici

Che tipi di antidolorifici esistono ?

Quanto alla tipologia di farmaco antidolorifico, possiamo individuarne 9 gruppi:

 

  1. Il Paracetamolo (generalmente noto con il nome commerciale “Tachipirina” o “Efferalgan”).
  2. Gli Antinfiammatori non steroidei o FANS (Famiglia più ampia che comprende tutti i preparati commercialmente più noti come “Voltaren”, “Brufen“, “Oki”, “Aulin”, “Synflex”, “Toradol”, “Arcoxia”, ecc). 
  3. Gli Steroidi, comunemente chiamati “Cortisone, con i rappresentanti commercialmente più noti “Bentelan”,  “Medrol”, “Urbason”, “Soldesam”, ecc. Non sono in effetti antidolorifici veri e propri (hanno un effetto depolarizzante sui nervi danneggiati) ma dei potenti antinfiammatori e antiedemigeni e per questo vengono spesso impiegati per combattere il dolore dovuto a infiammazione. 

 

Conviene fare una piccola interruzione nell’elenco in questo punto perché sono questi i gruppi che insieme determinano la stragrande maggioranza dell’arsenale di farmaci antidolorifici comunemente usati ad oggi. Ma finiamo l’elenco prima di approfondire alcuni punti.

 

4. Gli oppiacei e simili, con il rappresentante principale Morfina.

5. Gli Antiepilettici come il “Tegretol”, “Lyrica” o il “Gabapentin”.

6. Gli Antidepressivi come il “Cymbalta” o il “Laroxyl”

7. I cannabinoidi, ovvero la Cannabis terapeutica

8. I Triptani, usati per gli attacchi di emicrania, come il maggiormente noto “Sumatriptan”.

9. Agenti α2-adrenergici (farmaci molto raramente utilizzati nella pratica quotidiana e più in ambito ospedaliero e in contesti specifici).

Quali sono i farmaci antidolorifici più spesso usati e come funzionano?

1) Paracetamolo

Il paracetamolo è un antidolorifico e antipiretico (abbassa la febbre) con poca o nessuna attività antinfiammatoria. 

É un farmaco molto utile e forse anche sottoutilizzato nel trattamento del dolore in quanto più conosciuto per la sua proprietà di abbassare la febbre. Non essendo un antinfiammatorio, serve per la riduzione del dolore in genere, a prescindere dalla sua causa, e ciò lo rende molto versatile. Inoltre, esso non comporta i classici effetti collaterali gastrointestinali degli antinfiammatori e pertanto può generalmente essere assunto senza gastroprotettori e anche in gravidanza o durante l’allattamento. Questa caratteristica lo rende particolarmente adatto a trattamenti a lungo termine. 

Il paracetamolo dovrebbe essere il primo farmaco utilizzato nel tentativo di gestire il dolore. 

Che effetti collaterali ha il paracetamolo? 

Oltre a possibili allergie, comuni a tutti i farmaci, l’effetto collaterale principale può essere un abbassamento della pressione del sangue con accelerazione del battito cardiaco. Molto più raramente può interferire con alcuni elementi del sangue (piastrine o globuli bianchi) e infine può essere dannoso per fegato e reni, ma ciò a dosi molto elevate, ovvero nel caso di vere e proprie intossicazioni. 

A regimi terapeutici convenzionali, il paracetamolo è un farmaco generalmente sicuro e molto ben tollerato. 

2) Antinfiammatori

Scorrendo la prima parte dell’elenco, ci rendiamo conto che la maggior parte dei farmaci per il dolore comunemente prescritti consiste in  farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) e nel Cortisone. Trattandosi in entrambi i casi di antinfiammatori (il secondo lo è addirittura esclusivamente),  si comprende bene come una gran parte del dolore sia causato da fenomeni infiammatori. 

L’infiammazione è, infatti, un fenomeno molto frequentemente coinvolto nel danno di un tessuto di qualsiasi natura. Ciò è dovuto al fatto che l’organismo, una volta verificatosi un danno di un tessuto, attiva una cascata di risposte, prima di segnalazione  del danno e poi di inibizione e riparazione del danno, che passa appunto attraverso l’infiammazione. 

Spesso questa reazione è molto potente e anche eccessiva.  Il dolore che a questo si accompagna è quindi generalmente un male necessario e inevitabile. Somministrando un antidolorifico antinfiammatorio la risposta eccessiva da parte del corpo può essere, quindi,  ridotta e il processo reso, così, più sopportabile. 

Che effetti collaterali hanno gli Antinfiammatori ? 

Oltre a possibili allergie, comuni a tutti i farmaci, i principali effetti collaterali dei FANS sono gastrointestinali. Gonfiore, gastrite, reflusso fino a nausea, vomito e ulcere sono tutti noti ma sono certamente dose-dipendenti e variano da individuo a individuo. É utile certamente precisare che la via di somministrazione del farmaco non cambia molto il rischio di effetti gastrici, per cui l’abitudine di preferire le iniezioni di questi farmaci alla via orale paiono poco giustificate quando non da sconsigliare. Uno degli altri effetti collaterali più importanti può essere una tendenza al sanguinamento più elevato, in quanto i FANS interferiscono in una certa misura con la funzione delle piastrine. 

Una volta che si sia cercato di intervenire fattivamente sul dolore attraverso la riduzione dell’infiammazione, laddove questa domini il quadro,  si passa ai gruppi di farmaci successivi che agiscono sul dolore attraverso altri meccanismi. Vediamo quali. 

3) Gli oppiacei 

Gli oppiacei – tra i quali il più noto e consolidato è la Morfina – sono farmaci con un meccanismo d’azione particolare. Sono, infatti, molecole che si legano a dei recettori sulle cellule del nostro organismo (principalmente del sistema nervoso) a mò di chiave che si inserisce in una serratura, attivando così dei meccanismi diretti di riduzione del dolore. 

La loro particolarità risiede nell’attivazione di processi insiti e già naturalmente presenti nel nostro organismo per ridurre il dolore. La natura ha dotato gli organismi di questi recettori (che attivano la cascata antidolorifica) non perché si possa somministrare la morfina, ma perché il corpo stesso è in grado di produrre le cosiddette “Endorfine”, che sono destinate a legarsi a questi recettori per avere una certa “autonomia” nella sopportazione di stati dolorosi che altrimenti interferirebbero con il nostro funzionamento e sarebbero evoluzionisticamente poco favorevoli. 

Questa considerazione, ovvero che la natura ci ha intrinsecamente dotati di un meccanismo chimico che rende più sopportabile il dolore per migliorare le nostre possibilità di “sopravvivenza” e funzionalità, è molto importante per le implicazioni che andiamo ora a considerare. 

Il dolore è un fenomeno complesso, con una forte componente affettiva ed emozionale, e dunque un buon antidolorifico dovrebbe essere in grado non solo di togliere la sensazione del dolore di per sé, ma idealmente anche essere in grado di migliorare il nostro umore, la nostra sensazione di benessere. Le Endorfine, e di conseguenza anche gli Oppiacei, sono in grado di fare proprio questo. 

Mentre l’antidolorifico antinfiammatorio come i FANS o l’antidolorifico puro come il Paracetamolo agiscono solo sulla sensazione dolorosa, l’oppiaceo è in grado anche di agire sulla componente emotiva del dolore. In altre parole, al benessere percepito per la riduzione della sensazione dolorosa si associa anche un miglioramento e potenziamento della sensazione di benessere

Ed è proprio questa caratteristica, ovvero l’attivazione di una via “naturale”, molto utile e anche potente,  nel nostro corpo, a rendere l’oppiaceo un farmaco tanto eccellente quanto problematico. 

Che effetti collaterali hanno gli oppiacei ?

Mentre il Paracetamolo ad alte dosi può avere effetti tossici sul fegato e i FANS sulla mucosa gastrointestinale, tanto per citarne i più evidenti, gli oppiacei, oltre a possibili allergie, comuni a tutti i farmaci, in realtà hanno uno scarso effetto tossico diretto sugli organi. Viene descritta una certa neurotossicità, ma il fenomeno è talmente raro e sono necessarie dosi talmente alte e prolungate, che ciò si rivela, nella pratica quotidiana, poco rilevante. 

L’oppiaceo ha quindi pochissimi effetti dannosi diretti sugli organi, il che è molto positivo, ma i suoi effetti indesiderati stanno nel rischio di overdose con arresto respiratorio da un lato e nello sviluppo di dipendenza dall’altro. 

Purtroppo questi effetti o fenomeni collaterali possono essere talmente drammatici che gli oppiacei soffrono di una “cattiva reputazione”, di uno stigma a tutti gli effetti, che a tutt’oggi ne limita eccessivamente la popolarità e l’utilizzo. Basterebbero, infatti, pochi accorgimenti e regole per evitare questi effetti e dare a questo gruppo di farmaci la diffusione e l’impiego che meriterebbero e che è necessario. 

L’OMS, assieme alla maggior parte delle autorità sanitarie nazionali e locali, è infatti convinta che gli oppiacei siano a tutt’oggi sottoutilizzati, non potendo, pertanto, arrecare sollievo a chi soffre per preoccupazioni ingiustificate relativamente a queste complicazioni. 

Basti considerare che il sovra-dosaggio, con rischio di arresto respiratorio, è possibile con una certa facilità solo con alcuni oppiacei, e anche in questo caso è semplicemente sufficiente prestare molta attenzione ai dosaggi. Per quanto riguarda la dipendenza, invece, vi è un ampio numero di studi che dimostra come l’oppiaceo abbia un rischio di creazione di dipendenza relativamente basso se impiegato con lo scopo ben preciso e definito della riduzione del dolore. É stato dimostrato che il paziente in cura con oppiacei, grazie ad aggiustamenti del dosaggio e della durata del trattamento in base all’intensità e la durata del dolore, ha un rischio di dipendenza basso. 

Infine, considerando la scarsa tossicità d’organo diretta degli oppiacei, essi possono essere impiegati bene per trattamenti a lungo termine, durante i quali può certamente rendersi necessario un aumento graduale del dosaggio, anche se la possibilità di controllare rimane molto buona e a volte si pratica la “rotazione degli oppiacei”, ovvero si cambiano il tipo di formulazione e di molecola per ridurre l’assuefazione a un determinato farmaco. 

4) Gli Antiepilettici

Le molecole principalmente impiegate sono il Gabapentin, il Pregabalin e la Carbamazepina. 

Il meccanismo di funzionamento con il quale questi farmaci riducono il dolore consiste nell’abbassamento della “conducibilità” del nervo. In altre parole, è come se i nervi venissero resi meno eccitabili e conducessero pertanto il segnale più lentamente. Ciò conferisce loro l’effetto antiepilettico ed anche l’effetto di riduzione del dolore. In virtù del loro meccanismo di azione, questi sono i farmaci che vengono usati principalmente per il trattamento del dolore neuropatico. 

Come già suggerito dal nome, il dolore neuropatico è conseguenza di una lesione di un nervo che genera e trasmette segnali di dolore in maniera aberrante come conseguenza di un suo sovvertimento strutturale. Questi farmaci trovano impiego nel caso della nevralgia del trigemino così come nei dolori sciatalgici a seguito, come, ad esempio,  in un’ernia del disco.

Che effetti collaterali hanno gli Antiepilettici?

Oltre a possibili allergie, comuni a tutti i farmaci, il problema principale degli Antiepilettici usati contro il dolore è che spesso ciò non avviene in maniera appropriata. Il loro meccanismo di azione, ovvero il “rallentamento” dell’azione nervosa, genera infatti un’“abbassamento” generale dell’attività del sistema nervoso, traducendosi spesso in sonnolenza o giramenti di testa, per citare gli effetti più frequenti. Questi effetti sono però spesso passeggeri, e pertanto il farmaco necessita di una introduzione a basse dosi, con aumento del dosaggio successivo continuo e graduale. In questo modo diamo al corpo il tempo di adattarsi agli effetti collaterali e possiamo aumentare il dosaggio fino a raggiungere quello efficace. Trattandosi di un processo che richiede un certo tempo e la necessità di seguire un determinato protocollo, spesso questi farmaci vengono prescritti e assunti in maniera inappropriata, lasciando svanire, così, la possibilità del beneficio. 

5) Gli Antidepressivi 

Questi farmaci sono uno strumento importante nella terapia del dolore cronico e quindi di lunga durata.  Anche se non si riesce ancora a comprendere esattamente attraverso quali meccanismi essi svolgano la loro funzione, non sono in effetti antidolorifici in senso stretto, e dimostrano una grande incisività nel trattamento aggiuntivo del dolore, in associazione spesso ad altri farmaci. 

Considerando quanto già illustrato relativamente all’inquadramento del dolore, uno dei loro effetti è sicuramente quello di alleggerire “l’esperienza del dolore”, corroborando la sua sopportazione e la convivenza con esso attraverso un miglioramento dell’umore. Nel dolore neuropatico, ovvero quello da danno nervoso diretto, sembra, inoltre, che agiscano abbassando il livello di eccitabilità del nervo, calmando così la sensazione, simile al meccanismo di abbassare il “discorso negativo interno” nella persona che soffre di depressione e che amplifica spesso il problema. 

Quali sono gli effetti collaterali degli Antidepressivi?

Oltre a possibili allergie, comuni a tutti i farmaci, va detto che l’antidepressivo non è un farmaco che inizi ad agire in tempi rapidi. In genere, vanno contemplate da una a due settimane circa, prima che il farmaco faccia effetto, e va poi identificata la dose giusta. Effetti collaterali generali sono sonnolenza, vertigini, confusione mentale, aumento del peso corporeo e abbassamento della libido, tanto per citarne alcuni tra i più frequenti. Tutto sommato, essi sono, comunque, farmaci molto ben tollerati e possono essere assunti per tempi anche molto prolungati. 

6) La cannabis

La cannabis terapeutica può essere usata per tutta una serie di indicazioni mediche, tra le cui principali si annoverano il dolore, gli spasmi muscolari, la nausea. Essa ha un certo effetto anche nel trattamento del glaucoma e verosimilmente dell’epilessia. Come gli oppiacei, dai quali però si distingue nettamente, anche la cannabis agisce attraverso la stimolazione diretta di vie proprie del nostro organismo (si lega ai recettori per gli “endocannabinoidi”, molecole che il nostro organismo è in grado di produrre, simili alle “endorfine”) e del sistema nervoso per indurre un’alterazione dello stato mentale ed emotivo e produrre una sensazione di benessere. Si tratta di una pianta conosciuta e utilizzata in ambito terapeutico da millenni, e il suo impiego si sta diffondendo in maniera più stabile solo negli ultimi anni, favorendo un costante implemenento critico dell’esperienza del suo impiego. Al pari degli antidepressivi, essa non è direttamente un antidolorifico, ma agisce probabilmente soprattutto attraverso un’alterazione dell’umore e, nel caso del dolore neuropatico, consentendo un “rallentamento” dell’eccitabilità nervosa. In ciò, il suo effetto somiglia a quello degli antiepilettici. 

Che effetti collaterali ha la cannabis terapeutica? 

La formulazione terapeutica contiene le stesse sostanze attive di quella usata a scopo ricreativo. É una sostanza relativamente sicura, in quanto presenta una scarsa tossicità diretta sugli organi e non comporta lo stesso pericolo di sovradosaggio degli oppiacei. Oltre a una serie di comuni effetti collaterali – sonnolenza, rallentamento psicomotorio, ecc. – la problematica principale legata alla cannabis è la possibilità di effetti collaterali psichiatrici come la depressione, la mania e la paranoia. Si riscontra, in ultimo, un basso potenziale di indurre dipendenze, soprattutto se utilizzata a scopi terapeutici. 

8) I Triptani

Sono un gruppo di molecole utilizzate quasi esclusivamente nel trattamento delle emicranie e di disturbi affini. Inducono la vasocostrizione arteriolare,  riuscendo a neutralizzare l’attacco doloroso. 

Quali effetti collaterali hanno i triptani?

Agendo attraverso la costrizione delle piccole arterie, essi possono indurre ischemie cerebrali, cardiache e periferiche, ovviamente in base alla durata e al dosaggio del trattamento e alla sensibilità del singolo paziente. 

 

Quali sono le vie di somministrazione migliori per un farmaco antidolorifico?

Un farmaco può essere somministrato per bocca (sotto forma di compresse, infusi, polveri, sciroppi o gocce da deglutire o da sciogliere sotto la lingua), per inalazione (come per gli aerosol , puff  o spray nasali) , per via rettale (come per le supposte), o per iniezione (nel muscolo, come via più comune, così come per via endovenosa, per via sottocutanea oppure direttamente nel canale spinale come per l’infiltrazione epidurale o intratecale e loco-regionale nel blocco nervoso periferico mirato). Infine, per via transcutanea (come nel caso di cerotti che rilasciano il principio attivo in circolo attraverso la pelle o nel caso di pomate). 

E’ vero che le iniezioni intramuscolari sono preferibili ai farmaci per bocca perché non fanno male allo stomaco?

 

Questa è una domanda frequente che viene posta soprattutto in associazione ai farmaci antinfiammatori, visto il loro potenziale di irritazione della mucosa gastrica. La risposta alla domanda è fondamentalmente “no”, perché mentre è vero che qualsiasi farmaco che non passa attraverso lo stomaco e l’intestino non “pesa” sull’apparato, è però soprattutto vero che l’effetto gastrolesivo che i FANS possono avere è insito proprio nel loro meccanismo d’azione. Pertanto cambia poco se il farmaco viene introdotto nel corpo attraversando lo stomaco o meno. 

Considerando, anzi, che le iniezioni intramuscolari spesso sono dolorose e non senza rischi di complicazioni locali, oltre a richiedere generalmente qualcuno che le pratichi al paziente, è sicuramente preferibile la via orale e, semmai si volesse evitare un passaggio gastrico, la via rettale, via molto utile ed efficace e comunque generalmente sottoutilizzata. 

 

Considerando la moltitudine di vie di somministrazione e di farmaci e la possibilità di avere vie diverse per molecole simili, vi è ampia possibilità di trovare la soluzione più adeguata per le necessità specifiche di ogni paziente

 

Trattamento comportamentale e adeguamento dello stile di vita

Oltre al farmaco cosa è importante nella terapia del dolore?

Un’adeguata terapia del dolore spesso deve andare oltre la sola somministrazione di un farmaco. Ciò è vero soprattutto in quei casi nei quali il dolore è diventato cronico, o laddove il paziente presenti frequenti ricadute. 

Come già accennato, la componente emotiva, il tono dell’umore e anche le convinzioni che nutriamo relativamente al dolore, così come il pensiero a tal proposito di chi ci sta attorno, influiscono molto su come viviamo il dolore. 

Perchè in alcuni momenti sento più dolore che in altri?

Questa domanda viene posta frequentemente e le risposte possono ovviamente essere tante e fra le più varie in base al problema che abbiamo di fronte. A volte sono dei processi fisici, infiammatori o infettivi, per esempio, che presentano un andamento ciclico o oscillante, mentre a volte il dolore è dovuto a certe posizioni o movimenti, così come in altri casi all’accumulo o alla concentrazione di pressione o compressione su una struttura.  Anche il cambio di temperatura, di umidità o di altre condizioni atmosferiche può influenzare il dolore. Certe abitudini, di movimento, di alimentazione, ecc., possono anch’esse scatenare o peggiorare un dolore. 

Oltre a questi fenomeni “fisici” e strutturali, più facilmente identificabili, vi è anche il grande ambito dei fenomeni “psichici”. Così la preoccupazione, lo stress, la tristezza o la rabbia possono tutte avere delle ripercussioni negative sulla percezione del dolore ed eventualmente amplificarlo, mentre degli stati d’animo positivi possono migliorarlo

 

Questi due ambiti, ovvero i comportamenti e le abitudini “fisiche” e le convinzioni, preoccupazioni e stati d’animo che riguardano invece il lato “psichico”, devono quindi essere presi in esame già nel corso del primo incontro con un paziente con dolore. 

Il tentativo di adeguare e migliorare il funzionamento di questi due ambiti attraverso cambiamenti comportamentali e di abitudini e convinzioni è dunque di fondamentale importanza, a volte anche di più della stessa prescrizione di un farmaco. 

 

Sono a tua completa disposizione per parlare insieme del tuo caso