Impianto di neurostimolatori - Francesco Cacciola

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Impianto di neurostimolatori

Cosa si intende per neurostimolatori ?

Risale a Luigi Galvani nel ‘700 la scoperta che gli organi che compongono gli organismi viventi funzionano in buona parte su base elettrica. Sono, infatti, correnti elettriche che permettono la trasmissione di un segnale lungo le vie nervose, la contrattura muscolare, specie del cuore, l’elaborazione di azioni e emozioni al livello cerebrale ed un’infinità di altre funzioni nel corpo. 

E laddove c’è una corrente elettrica che media e permette una determinata funzione, esiste, almeno in teoria, anche la possibilità di influenzare ed interferire con questa corrente e quindi con la funzione finale dell’organo. 

Il cuore, come già menzionato, ha un piccolo nodo cellulare che spontaneamente genera correnti elettriche che espandendosi lungo l’organo fanno si che il cuore si contrae e batte. In caso di malfunzionamento della generazione di questo impulso elettrico, o della sua trasmissione lungo tutta la muscolatura del cuore per avere il battito, il cuore potrebbe smettere di funzionare adeguatamente e non permettere più la vita. Trattandosi comunque, in fondo, di un meccanismo elettrico che ha una sua generazione e una sua trasmissione, è stato scoperto che il cuore può essere stimolato a battere dall’esterno, attraverso l’introduzione di elettrodi all’interno delle sue cavità che ricevono gli impulsi elettrici da una batteria: il pacemaker

Cosi come si possono stimolare elettricamente i muscoli per farli contrarre, si può stimolare elettricamente anche il cervello ed i nervi stessi per influenzarne il funzionamento.

Impianto di stimolatori cerebrali per il M. di Parkinson

Come funziona la neurostimolazione cerebrale per il M. di Parkinson?

La neurostimolazione cerebrale invasiva , conosciuta anche come DBS – acronimo dall’inglese “Deep Brain Stimulation” –, per il M. di Parkinson, consiste nella stimolazione elettrica di un piccolo nucleo cellulare nella profondità del cervello

I nuclei che possono essere stimolati sono in realtà due, il nucleo subtalamico e il nucleo globo pallido interno, e saranno il Neurologo ed il Neurochirurgo a decidere quale di questi due scegliere in base a determinate caratteristiche del paziente. 

In linea di massima, l’impianto di due elettrodi – elettrocateteri –, uno nell’emisfero cerebrale destro e uno a sinistra, porta al miglioramento dei sintomi principali che caratterizzano il M. Di Parkinson, ovvero il tremore, la rigidità e la bradicinesia (rallentamento nella capacità di eseguire i movimenti). 

Possono essere operati di stimolazione cerebrale tutti i pazienti con M. di Parkinson?

No, si stima che fra il 10 e il 20% dei pazienti con M. di Parkinson soddisfino i criteri per poter beneficiare di un impianto di stimolazione cerebrale profonda. 

La valutazione, nello specifico, spetta al Neurologo e al Neurochirurgo che andranno a proporre l’intervento al paziente. 

I criteri principali di idoneità all’intervento sono i seguenti:

  1. Diagnosi di M. di Parkinson sicura e durata della malattia di circa 5 anni almeno;
  2. Buona risposta iniziale alla terapia con la dopamina;
  3. Condizioni generali buone, assenza di turbe psichiatriche e età preferibilmente non superiore a 70 anni. 

Come si svolge l’intervento di impianto di stimolatore cerebrale per il M. di Parkinson?

Presso il nostro centro l’impianto di DBS si svolge interamente in anestesia generale, mentre frequentemente viene ancora fatto con il paziente sveglio in altri centri

Il paziente viene addormentato e viene posizionato sulla testa il cosiddetto “casco stereotassico”, uno strumento che permette di guidare gli elettrodi con precisione millimetrica alla destinazione finale, ovvero il nucleo cerebrale scelto che si trova a una profondità di circa 7cm all’interno del cervello. Le coordinate esatte per la posizione finale degli elettrodi ed il loro tragitto nel cervello per evitare di incontrare strutture che potrebbero essere danneggiate, vengono calcolate con un software ed un computer collegato ad un neuronavigatore. Una volta calcolate le coordinate, queste vengono trasferite ed impostate sul casco steretassico collocato sulla testa del paziente. 

Per veicolare gli elettrodi all’interno del cervello, vengono praticati due fori nel cranio di diametro poco oltre un centimetro in sede frontale, poco dietro l’attaccatura dei capelli. 

Una volta posizionati gli elettrodi nella sede finale, vengono ancorati al cranio e fatti passare entrambi sotto il cuoio capelluto verso un punto dietro l’orecchio destro del paziente e poi, sempre sottocute, vengono fatti scendere lungo il collo alla zona sotto la clavicola destra. In questa sede, viene realizzata una tasca sottocutanea che riceve la batteria (come nel pacemaker cardiaco) e gli elettrodi saranno collegati alla batteria, che così potrà generare gli impulsi da veicolare all’interno del cervello. 

L’intervento è in genere molto ben tollerato, comporta poco dolore post-operatorio in quanto poco invasivo e il paziente può tornare al proprio domicilio dopo qualche giorno dall’operazione. 

Seguiranno poi una serie di incontri nel tempo con il Neurologo, che imposterà via via i parametri di stimolazione ideale per il paziente attraverso un trasmettitore esterno in grado di comunicare con la batteria del paziente. 

Le batterie, o generatori di impulso, possono essere sia monouso o ricaricabili, e si pratica l’una o l’altra opzione in base al consumo elettrico che il singolo paziente e il suo specifico problema richiedono. In genere, qualora si dovesse scegliere una batteria non ricaricabile, questa dura una media di 3-4 anni e può essere poi sostituita attraverso un piccolo intervento, eseguibile in anestesia locale. 

Quali sono i rischi di un impianto di stimolatore cerebrale per il M. di Parkinson ?

Il rischio che desta più preoccupazione, ovvero il sanguinamento cerebrale o comunque un danno irreversibile al cervello, visto che si introducono due elettrodi di oltre un millimetro di spessore al suo interno, è molto basso. Per convenzione, negli anni, si mantiene come percentuale di probabilità l’1%, anche se, con il miglioramento della tecnologia costante, il rischio reale oggi è probabilmente sotto lo 0,5%

Altri rischi poi sono l’infezione, con successivo rigetto del materiale impiantato e la rottura o lo scollegamento del materiale impiantato. Questi rischi vengono stimati grossolanamente attorno al 10-15% e sono in genere risolvibili con uno o più interventi di revisione per riparare il guasto. 

Infine, vi sono i rischi di effetti collaterali della stimolazione, come il cambiamento del tono dell’umore o di altri tratti caratteriali così come una stimolazione inadeguata per errato posizionamento degli elettrodi. Trattandosi nella stimolazione cerebrale di una procedura perfettamente reversibile il cui effetto cessa non appena si spegne il generatore di impulsi – la batteria –, questi effetti collaterali presentano quindi un problema relativo, e nella peggiore delle ipotesi a essi si può ovviare con il riposizionamento dell’elettrodo malposizionato o difettoso.

Impianto di stimolatori cerebrali per il tremore essenziale

Come funziona la stimolazione cerebrale per il tremore essenziale?

Come già illustrato sopra per il M. di Parkinson, la tecnica e il principio di impianto di uno stimolatore per il tremore essenziale sono sostanzialmente gli stessi. Ciò che cambia nel tremore essenziale rispetto al M. di Parkinson è la destinazione finale all’interno del cervello che verrà stimolata. Si tratta in questo caso di un piccolo gruppo cellulare di pochi millimetri quadri che fa parte del talamo, il nucleo ventrale intermedio

L’efficacia di questa tecnica è molto elevata e anche se non è sempre possibile eliminare del tutto qualsiasi tremore, la riduzione del tremore è generalmente talmente efficace da permettere al paziente di ritornare a condurre tutte le attività quotidiane come mangiare, bere e lavorare in genere, che spesso aveva perduto per via del tremore. 

Possono essere operati di stimolazione cerebrale tutti i pazienti con tremore essenziale?

Fondamentalmente sì; l’unico fattore limitante in questo caso sono le condizioni generali del paziente, ovvero lo stato di salute generale. 

Come si svolge l’intervento di impianto di stimolatore cerebrale per il tremore essenziale?

La tecnica e il materiale impiantato sono identici a quelli già illustrati per il M. di Parkinson, con la differenza che durante il posizionamento degli elettrodi a destra e a sinistra del cervello il paziente deve essere sveglio e collaborare con il personale in sala operatoria

Ciò si rende necessario perchè la posizione finale dell’elettrodo è fondamentale per eliminare il tremore e può variare tanto spostandosi anche solo di un millimetro all’interno del nucleo talamico di destinazione. Per individuare questo punto ideale, il paziente deve, pertanto, eseguire dei movimenti durante il posizionamento e riceverà una stimolazione-test per confermare l’effettiva posizione finale corretta. 

A tal fine, il paziente viene in genere addormentato durante tutta la fase iniziale dell’intervento in cui vengono praticati i fori nel cranio e iniziato il posizionamento degli elettrodi, e viene poi svegliato durante la fase di posizionamento finale. Una volta posizionati gli elettrodi nel punto ideale, il paziente viene riaddormentato per completare l’impianto di collegamento alla batteria e il posizionamento della stessa sotto la clavicola destra. 

Quali sono i rischi di un impianto di stimolatore cerebrale per il tremore essenziale?

I rischi sono fondamentalmente gli stessi di quelli già illustrati per il M. di Parkinson.  Si tratta, in pratica, di una procedura poco invasiva e ben tollerata dal paziente, e l’unico rischio un pò più rilevante è quello di non ottenere una soppressione del tremore tale da soddisfare completamente le aspettative del paziente. Questo rischio è stimabile attorno al 20% e dipende comunque molto da un’accurata discussione fra medico e paziente riguardo alle aspettative e alle possibilità che la tecnica offre. Un netto miglioramento del tremore è comunque la regola.

Impianto di stimolatori per l’epilessia

Che tipi di neurostimolatori esistono per il trattamento dell’epilessia?

Le possibilità di stimolazione sono fondamentalmente due: la stimolazione cerebrale profonda, come già vista per il M. di Parkinson e per il tremore essenziale, e la stimolazione del nervo vago

La procedura di impianto cerebrale è in pratica identica a quella per il M. di Parkinson, fatta eccezione per la diversa sede di stimolazione. Nel caso dell’epilessia, il gruppo cellulare da stimolare è il nucleo ventrale anteriore del talamo. L’impianto non necessita della collaborazione del paziente e può, pertanto, essere eseguito interamente in anestesia generale

La stimolazione del nervo vago, invece, prevede un meccanismo di funzionamento completamente diverso. Essa non comporta, infatti, l’introduzione di elettrodi all’interno del cervello, ma l’obiettivo della stimolazione è il nervo vago, un nervo bilaterale di uno spessore di qualche millimetro che fuoriesce dal cranio e viaggia verso il centro del corpo lungo il collo. È, infatti, in questa sede che si può chirurgicamente liberare il nervo per un tratto di qualche centimetro dai tessuti circostanti, per agganciarci degli elettrodi che andranno a stimolare il nervo. Gli elettrodi, una volta fissati al nervo vengono, poi passati sempre sotto cute verso la zona sotto la clavicola dove viene impiantata la batteria, il generatore di impulsi. Si sceglie solitamente il lato sinistro. 

Quali pazienti con epilessia possono beneficiare della neurostimolazione cerebrale o vagale?

I pazienti con epilessia da trattare con la neurostimolazione sono coloro affetti da epilessia farmacoresistente e che non ha un origine focale nel cervello, che potrebbe essere eventualmente trattata chirurgicamente con una resezione focale o lobare, come nel caso della classica lobectomia temporale. 

Le epilessie da trattare con gli stimolatori sono pertanto le più difficili da trattare in assoluto e la stimolazione rappresenta spesso l’ultimo tentativo per ottenere almeno una parziale riduzione della frequenza e intensità delle crisi. 

Per quanto riguarda l’efficacia delle due tecniche, ovvero la stimolazione cerebrale piuttosto che quella vagale, la prima appare lievemente superiore, ma la differenza è tuttora oggetto di studio e non chiaramente definibile.

Impianto di stimolatori spinali per il dolore cronico e neuropatico

Come funziona la stimolazione midollare – pacemaker spinale – per il trattamento del dolore cronico?

Il principio su cui si basa la stimolazione midollare, ovvero il pacemaker spinale, e quello dell’alterazione o “modulazione” del segnale elettrico che viaggia lungo il midollo spinale

Il midollo spinale è un prolungamento del cervello che viene ospitato nel canale vertebrale dove si estende verso il basso dando origine, lungo il suo decorso, a una moltitudine di nervi che vanno a innervare tutte le varie parti del corpo. 

Le informazioni che viaggiano lungo i nervi e il midollo spinale vanno in entrambe le direzioni,  ovvero in entrate e in uscita. Così,  informazioni generate nel cervello come, per esempio, l’intenzione di muovere una mano o una gamba, viaggiano dal cervello lungo il midollo spinale per raggiungere la parte del corpo che si vuole muovere lungo un nervo periferico. 

Allo stesso modo, uno stimolo che insorge nella periferia, per esempio un dolore da una ferita a una gamba o a una mano, viaggia verso il cervello in direzione opposta. Percorre quindi, dalla sua zona di origine il nervo periferico che raggiunge il midollo spinale nel canale vertebrale e da lì risale lungo il midollo per finire al livello cerebrale. 

Lungo tutto il suo decorso, il segnale elettrico può essere influenzato, alterato, amplificandolo, bloccandolo o generandone uno ex novo. Si possono così stimolare i nervi periferici, per indurli a far muovere muscoli ben precisi di loro pertinenza, o si può stimolare il midollo spinale per influenzare la trasmissione di stimoli che giungono e raggiungo parti più ampie del corpo. 

Nel caso della stimolazione spinale, si generano dei campi elettrici mediante degli elettrodi posti a ridosso nel midollo stesso che possono, così, interrompere o modificare gli stimoli sensitivi che viaggiano dalla periferia verso il cervello. 

 

Che tipi di dolore possono essere trattati con il pacemaker spinale?

I dolori che meglio rispondono alla stimolazione midollare sono le cosiddette neuropatie. 

Una neuropatia è una sofferenza, o un danno di natura varia, di uno o più nervi periferici

Il nervo danneggiato (per esempio, come conseguenza di un’infezione, di un’ischemia di un trauma diretto, ecc.) può inviare segnali dolorosi più o meno costanti al cervello, generando l’impulso proprio al suo interno per via dell’alterazione strutturale subita dal danno. 

Si tratta, pertanto, di un fenomeno “elettrico” per eccellenza, e in quanto tale l’intercettazione e la soppressione di questo segnale, mentre viaggia lungo il midollo spinale, sono piuttosto semplici e quindi molto efficaci. 

La quota di successo nel “cancellare”, o comunque ridurre notevolmente, l’intensità di questo segnale è molto alta, raggiungendo fino l’80% di riduzione del dolore e quindi di efficacia del trattamento. 

A prescindere dalla causa esatta della neuropatia, la cui identificazione spetta al medico (talvolta può anche non essere identificabile) si può comunque considerare, come regola in linea di massima, che qualsiasi dolore con delle caratteristiche “elettriche”, come scosse, bruciore, spasmi o formicolii intensi in una zona abbastanza ben definibile del corpo, come una gamba, un braccio o una mano, è da prendere in considerazione per la stimolazione spinale. 

Di recente è stato sviluppato anche un algoritmo di stimolazione promettente ed efficace per il mal di schiena comune, ovvero il dolore in sede lombare e lombosacrale, in assenza di chiare cause strutturali alla sua base. 

Infine, considerando che in pratica tutti i dolori hanno una certa componente neuropatica, spesso sarà solo il vero e proprio tentativo di stimolazione test, che vedremo di seguito, che indicherà se il dolore in questione potrebbe beneficiare di un pacemaker spinale oppure no. 

 

Come si svolge l’intervento di posizionamento di un pacemaker spinale?

Generalmente, l’impianto di un pacemaker spinale si svolge in due tempi: una fase si stimolazione test, o trial, e successivamente l’impianto definitivo

La fase di test consiste nel posizionamento degli elettrodi nel canale spinale, mediante una procedura che è molto simile a una infiltrazione epidurale, detta anche peridurale, che si applica per infiltrazione di cortisone nel canale spinale oppure, per esempio, nel periodo del parto per ridurre i dolori. La differenza è che nel caso della stimolazione spinale, attraverso l’ago che entra nel canale spinale, non si infiltra un farmaco, ma si fanno avanzare uno o due elettrodi. Questi vengono lasciati a dimora a ridosso del midollo spinale a un’altezza più o meno a metà schiena. Per garantire il posizionamento al livello ideale, si utilizza un apparecchio radiologico in sala operatoria. La procedura può essere eseguita in anestesia locale e si può anche direttamente verificare il funzionamento degli elettrodi ancora in sala operatoria. Se il posizionamento è corretto, gli elettrodi vengono “tunnellizzati” sottocute e collegati a dei cavi di estensione che usciranno dalla pelle, generalmente su un fianco, e verranno collegati a una batteria esterna

Con questa batteria si eseguiranno quindi delle stimolazioni-test e si cercherà di individuare lo schema di stimolazione migliore per controllare il dolore. Questa fase può durare anche 2-3 settimane. Se alla fine di essa, la stimolazione appare efficace nel ridurre o coprire il dolore, si procede al secondo intervento, ovvero l’internalizzazione del sistema

In questo intervento si creerà una piccola tasca sottocutanea, generalmente sul fianco o sul dorso, dove verrà alloggiata la batteria finale dopo averla collegata agli elettrodi. In questo modo, tutto il sistema sarà sottocutaneo, come nel pacemaker cardiaco. 

Se il modello della batteria è ricaricabile, il paziente potrà ricaricare il sistema con un caricatore esterno che verrà semplicemente appoggiato esternamente sulla batteria. Riceverà anche un telecomando con il quale potrà accendere e spegnere la stimolazione e, se del caso, anche aumentare e abbassare l’intensità della stimolazione. 

 

Che rischi ci sono con l’impianto di un pacemaker spinale?

La procedura è a basso rischio, con per rischi principali quelli dell’infezione e del conseguente rigetto del sistema.

Impianto di stimolatore occipitale per le cefalee farmacoresistenti

In cosa consiste la neurostimolazione per il mal di testa?

Esistono, purtroppo, diverse forme di cefalea che sono resistenti al trattamento farmacologico o che richiedono l’impiego frequente di farmaci e magari anche ad alte dosi. La classificazione delle cefalee è vasta e, in linea di massima, è sempre consigliabile che un problema di cefalea, o mal di testa, venga valutato in primis presso un centro cefalee

Nei casi in cui, comunque, non si trovino soluzioni, si può considerare la stimolazione occipitale o anche frontale per il mal di testa ricorrente. 

I tipi di mal di testa che principalmente potrebbero beneficiare dalla stimolazione sono le emicranie e le cefalee occipitali, fra le quali rientrano anche le cefalee muscolotensive

La tecnica di stimolazione si avvale della stimolazione nervosa periferica, ovvero gli elettrodi vengono impiantati sotto cute superficialmente, generalmente in vicinanza di nervi periferici e non a ridosso del midollo spinale, come nel caso del pacemaker spinale. 

L’impianto più frequentemente usato è quello in cui due elettrodi tondi con otto contatti ciascuno vengono posizionati sottocute al livello della nuca, con la batteria che genera gli impulsi generalmente nella stessa sede del pacemaker cardiaco. Gli elettrodi sottocute in sede nucale vanno a stimolare i nervi occipitali e i muscoli occipitali. Ciò può condurre alla riduzione degli attacchi di mal di testa e/o renderli meno intensi. In aggiunta a questi elettrodi nucali, possono essere posizionati sottocute anche degli elettrodi frontali, sulla fronte sopra l’occhio, che vanno a stimolare la branca orbitaria del nervo trigemino. Questo tipo di impianto ha dimostrato di avere un buon effetto nelle emicranie farmacoresistenti

Anche in questo caso si eseguirà prima una fase trial con il posizionamento degli elettrodi in anestesia locale per 2-3 settimane circa, e se vi è una buona risposta di riduzione degli attacchi, si procede all’internalizzazione del sistema.

Impianto di stimolatori periferici per le sindromi dolorose locali (dolore coccigeo, dolore facciale, dolore intercostale, dolore agli arti)

Il dolore coccigeo può essere trattato con la neurostimolazione?

Sì, il dolore al coccige può essere un problema invalidante se è molto forte e protratto nel tempo. Spesso non se ne conoscono le cause, specie se non risulta esserci stato un trauma o una caduta in particolare, e anche gli esami radiologici non mostrano sempre qualcosa di concreto. 

Nella maggioranza dei dolori coccigei, comunque, è presente una ipermobilità del coccige rispetto all’osso sacro, e la fonte di dolore sembra pertanto essere l’articolazione fra il sacro e il coccige che, magari anche solo per processi artrosici, è diventata dolente. É questo il motivo principale per cui si tenta sempre, in prima battuta, un’infiltrazione di cortisone dell’articolazione sacro-coccigea. 

Nei casi in cui ciò non aiuta e il dolore persiste, si può arrivare alla neuromodulazione locale: viene introdotto un elettrodo con 8 contatti nel canale sacrale o nei forami sacrali, in ogni caso in prossimità del dolore percepito. 

La dinamica sottesa a questo tipo di stimolazione periferica è medesima di quella nelle cefalee: si stimolano i nervi superficiali periferici, influenzando così il quadro doloroso. 

L’intervento può avere ottimi risultati per quanto riguarda la riduzione del dolore ed è pertanto indicato eseguire una fase di stimolazione test in tutti quei casi che non rispondono alle terapie conservative o alle infiltrazioni. 

 

I dolori facciali, così come le nevralgie del trigemino, possono beneficiare della neurostimolazione?

Si, si tratta sempre di una stimolazione periferica, in cui un piccolo elettrodo viene impiantato sottocute proprio nella sede del dolore, che può quindi anche essere la faccia. Impiantato in vicinanza della sede del dolore – un dolore che non dovrebbe essere eccessivamente diffuso –, si stimolano i rami nervosi che veicolano il dolore, e riuscendo a generare dei formicolii gradevoli si può eventualmente coprire il dolore. Anche in questo caso è indicato eseguire una fase trial, in quanto è difficilmente prevedibile quale dolore risponda come alla stimolazione, per cui la risposta finale spesso può essere fornita solo dalla prova di stimolazione effettiva.

Sono a tua completa disposizione per parlare insieme del tuo caso