Terapia conservativa delle malattie della colonna vertebrale - Francesco Cacciola

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Terapia conservativa delle malattie della colonna vertebrale

Inquadramento diagnostico e definizione del problema

L’inquadramento del dolore legato alla colonna vertebrale procede attraverso dei passaggi ben definiti e successivi.

Siamo di fronte a un problema serio o meno?

Questa è la prima domanda da porsi, praticamente in qualsiasi occasione in cui si analizzi un problema, e lo stesso è vero per il dolore vertebrale. 

Il mal di schiena o la sciatica, o anche entrambi, laddove si presentino insieme, generalmente “fanno paura”. Ciò non solo perché si tratta spesso di dolori molto forti e che compaiono all’improvviso, ma anche perché sono dolori situati in una parte centrale del corpo e l’associazione fra un potenziale danno alla colonna vertebrale e la paralisi rimane tuttora la più spontanea e frequente, ma fortunatamente anche la meno probabile.

Ho un fortissimo mal di schiena, mi devo preoccupare ?

La risposta non è evidentemente facile, né va affrontata in maniera semplicistica, ma da un punto di vista “statistico” si può sicuramente rispondere a questa domanda: “molto probabilmente no!”

Il mal di schiena, benché molto diffuso e spesso altrettanto doloroso, è infatti nella stragrande maggioranza dei casi tutt’altro che preoccupante. 

I casi di mal di schiena che originano da una condizione preoccupante sono relativamente pochi e possiamo, con poche domande e un semplice colloquio con il paziente, capire con alta probabilità se ci troviamo di fronte a un problema serio.

 

Ci sono delle “bandiere rosse” o “semafori rossi” ?

Le cosiddette “bandiere”, in Italia spesso chiamati “semafori” rossi,  sono dei fatti accaduti o dei sintomi presenti da appurare nell’incontro con un paziente per escludere patologie sottostanti serie.  Escludere condizioni potenzialmente gravi è necessario per decidere se si possa iniziare a trattare il problema per ciò che appare o se si debba procedere con ulteriori accertamenti clinici per verificare che nulla di rilevante sia sfuggito all’osservazione. 

Gli ambiti da testare con le bandiere rosse sono, generalmente, i seguenti:

  • Fratture?
  • Tumori?
  • Infezioni?
  • Sindrome della cauda equina?

 

Ad esempio, per testare l’ambito “Fratture”, al paziente va chiesto se prima della comparsa del dolore ci sia stata una caduta o altro trauma, oppure se assuma farmaci come il cortisone da tanto tempo (perchè può provocare fragilità ossea e quindi fratture anche in assenza di cadute o traumi), come per l’ambito “Tumori” se vi sia già una storia pregressa di tumore, oppure se ci sia stata una perdita di peso importante in poco tempo con un dolore persistente ormai da diverse settimane e magari ingravescente, e così via. 

Il compito del medico che visita un paziente con mal di schiena o dolore vertebrale deve essere quello di escludere, prima di tutto, la presenza di uno degli scenari elencati. 

Numerosi studi scientifici hanno dimostrato che il semplice colloquio con il paziente, in cui vengano poste le domande giuste, riesce a escludere con buona probabilità la maggior parte di queste problematiche serie. Non è necessario, pertanto, almeno in un primo momento, procedere con ulteriori indagini e il paziente può essere trattato con un antidolorifico e con qualche consiglio di comportamento adeguato.  In quelle situazioni, invece, nelle quali il colloquio e la visita diretta del paziente, non abbiano eliminato questi dubbi, occorre fare altre indagini. Nel caso del dolore vertebrale, esse sono principalmente due: la Risonanza magnetica e la Tac. 

Perchè il mio medico non mi vuole prescrivere una Risonanza magnetica ?

La risposta breve a questa domanda è:  “Perchè costa e probabilmente non serve !”

Ma vediamo meglio…

La gestione di un sistema sanitario, sia esso pubblico o privato, comporta costi elevati. L’obiettivo deve essere sempre quello di contenere la spesa il più possibile, pur mantenendo un’efficacia e una sicurezza tali da non pregiudicare la qualità della cura. 

Il primo metodo per contenere i costi è quello di evitare gli sprechi, il che per un medico con il suo paziente significa non prescrivergli esami o procedure inutili. 

É evidente che tale ortoprassi sia non soltanto logica e corretta dal punto di vista economico, ma si riveli anche un obbligo etico e deontologico, specie se si tratta di esami o cure invasive. In un sistema pubblico, poi, nel contesto del quale un numero di risorse (spesso limitate) viene messo a disposizione di tutti, qualsiasi procedura inutile prescritta a un paziente rischia di lasciarne sprovvisto un altro che invece ne avrebbe bisogno e magari anche in tempi rapidi. 

Alla luce di queste problematiche il Ministero della Salute ha elaborato i cosiddetti “criteri di appropriatezza prescrittiva”. Si tratta in pratica di una specie di “tabella”, in cui vengono elencati e definiti  diversi e numerosi malattie e disagi di salute  possibili, stabilendo al contempo cosa sia opportuno per farne la diagnosi e praticarne il trattamento. 

Nel caso del mal di schiena, ad esempio, se non siano presenti segni o sintomi da “semaforo rosso” come sopra descritto, e quindi non persistano dubbi in ordine a un serio problema sottostante, il legislatore sconsiglia, fino a proibire in alcuni casi, al medico curante di prescrivere l’esame. Perciò, quando il medico dice di non voler o poter prescrivere l’esame, si attiene alla legislazione di cogenti parametri ministeriali.

 

Quando è utile fare una Risonanza magnetica della colonna vertebrale?

I criteri per fare la risonanza magnetica, come già accennato, sono piuttosto stringenti. Devono sussistere condizioni ben definite e di un certo peso per giustificare, secondo dei criteri scientifici, l’esecuzione dell’esame. 

Per tale motivo il sistema pubblico, e spesso anche quello assicurativo, richiedono la prescrizione dell’esame da parte di uno specialista del settore, proprio per garantirne l’appropriatezza

Mentre la logica generale risiede nell’evitare esami non necessari e conservare le risorse per i casi “seri”, quanto al mal di schiena, in particolare, c’è un’altra considerazione da fare. 

Oltre l’80% dei pazienti con mal di schiena non ha nulla di grave: dietro al loro dolore non si nasconde una malattia seria. Non sussiste pertanto l’appropriatezza prescrittiva per la risonanza e l’esame non andrebbe eseguito. Ma c’è di più: è stato dimostrato persino che praticare l’esame in questi casi può essere controproducente, in quanto può condurre alla “medicalizzazione” del problema. 

La “medicalizzazione” di un problema consiste nel rendere un problema “banale” o comune, un problema “medico”

Il mal di schiena comune o “non specifico” ne è un perfetto esempio.  Esso, infatti, è molto frequente, non è pericoloso e tende a scomparire da sé. Al contrario, iniziando a costruirci attorno tutto un percorso complesso di diagnosi e trattamento si rischia di rendere una cosa, con la quale i nostri avi non avrebbero perso neanche un istante, un problema che prende forma e si sedimenta nella mente e nella società come una nuova “malattia”.

E più il concetto prende piede, più acquisisce forma, più difficile diventa trattarlo. Anche in questa dinamica, un ruolo importante viene giocato dalla nostra psiche e dalla nostra capacità di elaborare i problemi, sovente purtroppo anche sovrastimandoli e ingigantendoli. 

Questa evidenza psico-sociale ci lascia approdare direttamente alla seconda considerazione nella valutazione di un paziente e del suo problema. 

 

Che convinzioni e paure ha il paziente che soffre di mal di schiena ?

Una volta che il medico abbia accertato che il mal di schiena o il dolore in genere non celino nulla di grave, occorre esplorare e capire le condizioni e l’atteggiamento che il paziente ha nei confronti del dolore. 

Essendo i dolori spesso molto forti, il paziente è preoccupato. Ciò si verifica sia nel caso in cui è la prima volta che un tale dolore compare, perché ancora non se n’è fatta l’esperienza, ma anche laddove il dolore si ripresenta ripetutamente. Nel caso del mal di schiena questo può infatti manifestarsi come episodio molto forte e improvviso magari solo una volta nella vita di una persona; però purtroppo vi sono anche delle persone che ne fanno l’esperienza ripetutamente, più o meno frequentemente senza che ciò debba, però, significare che vi è qualcosa di “serio” all’origine. Ma mantenere questa convinzione anche di fronte all’ennesimo attacco, può essere difficile per alcuni. 

Resta, quindi,  fondamentale dedicare sufficiente tempo al colloquio con il paziente, per prima comprendere quanto sia preoccupato e cosa abbia eventualmente già sentito o letto riguardo al problema. Spesso i pazienti che soffrono da tanto tempo si sono ormai creati delle false convinzioni che riescono a perpetrare il problema e che non permettono una guarigione se non vengono prima analizzate e poi “smontate”. 

Si deve, allora, attivare un circolo virtuoso, di fondamentale rilevanza, ovvero che il medico disponga non soltanto di una preparazione scientifica appropriata e aggiornata per parlare con sicurezza e nozione di causa del problema, ma che sia anche in grado di farsi comprendere dal paziente che ha di fronte a sé. 

E per farsi comprendere, il medico deve sapere esporre il problema in modo chiara e in una condizione di fiducia. Laddove non si riesca a instaurare un rapporto fiduciario reciproco, appare difficile che il paziente riesca a dare credito e a fare proprie anche le delucidazioni più chiare e semplici. 

 

Qual’è lo “stile di vita” del paziente?

Per trattare in maniera adeguata un problema complesso come il dolore, bisogna conoscere il paziente.  

Significa conoscere non solo le sue convinzioni, paure e speranze, ma farsi anche un’idea del tipo di vita che egli conduce o, detto in maniera semplice, “cosa faccia normalmente durante la giornata”

Una parte fondamentale di questo percorso è sicuramente conoscere lo stato di salute generale

Ci sono malattie pregresse o in corso? 

C’è una terapia farmacologica in atto o c’è stata in passato? 

Ci sono stati interventi terapeutici, come la fisioterapia o interventi chirurgici? 

Ci sono delle allergie note o trattamenti pregressi inefficaci?

 

Queste domande sono fra le più importanti e fondamentali per conoscere il paziente e fanno da sempre parte delle informazioni che il medico deve raccogliere. 

Seguono poi la domanda sull’attività lavorativa per comprendere a che sollecitazioni, fisiche o psichiche, e ambienti il paziente sia abitualmente esposto. 

Infine è fondamentale, specie nel paziente con mal di schiena, conoscere il suo livello di attività fisica. 

Qual è il livello di attività fisica?

Conduce una vita sedentaria o si muove molto?

Che tipo di movimento lo impegna?

Pratica sport o ginnastica regolarmente o solo occasionalmente?

Che tipo di dieta segue e con quali esiti?

 

Queste sono le domande aggiuntive che servono a completare il quadro generale dello stile di vita del paziente. 

Dopo un colloquio esaustivo con il paziente con mal di schiena, ed eventualmente una visita fisica,  in cui si valuti l’urgenza e la gravità del problema, e si apprendano le preoccupazioni e le convinzioni del paziente così come il suo stato di salute e il suo stile di vita generale, si può procedere alla formulazione della diagnosi e iniziare il trattamento.

Trattamento conservativo del mal di schiena e della sciatica

Sono disperato! Ho già preso un sacco di antidolorifici ma il dolore non passa…

Il paziente con mal di schiena, generalmente arriva dal medico dopo aver già fatto un tentativo con almeno un  antidolorifico e spesso senza un granché di beneficio.

Non è neanche raro che il dolore sia così forte da condurre il paziente al Pronto Soccorso solo per scoprire che neanche lì si riesce a fare chissà cosa per alleviare il suo dolore

Questo mancato controllo del dolore genera nel paziente tutt’altro che tranquillità e fiducia e può aumentare la preoccupazione in una situazione già piuttosto sgradevole. 

A tutt’oggi il controllo completo del dolore, pur usando tutti i farmaci a disposizione, può ancora risultare difficile senza ricorrere a una vera e propria sedazione del paziente.

Riscontriamo questo fenomeno sia nel mal di schiena non specifico, così come nella comune sciatica. Il motivo è diverso in ciascuno dei casi: vediamone il perché. 

Nel mal di schiena, il dolore è generalmente causato da una forte contrattura muscolare, un vero e proprio crampo.  Nel crampo muscolare, come abbastanza noto, il dolore può essere improvviso e fortissimo; la cosa che più di qualsiasi altra aiuta è allora lo stiramento, l’allungamento del muscolo. Ma mentre questa pratica è abbastanza facile per un polpaccio, ad esempio, essa si rivela molto più difficile per uno dei tanti gruppi muscolari che compongono la schiena. Inoltre, nel momento in cui abbiamo un attacco di mal di schiena, istintivamente facciamo tutt’altro che stirarci e allungarci, mentre al contrario tendiamo a irrigidirci, non aiutando così a migliorare la situazione. Nell’ambito di questa forte risposta di contrazione riflessa, la somministrazione di qualsiasi antidolorifico può spesso risultare poco efficace.

Nella sciatica classica, ovvero il dolore che irradia nella gamba a causa di un’ernia discale che preme su una radice nervosa, il meccanismo che genera dolore è duplice. Da un lato, esso è dovuto alla compressione fisica ed effettiva della radice nervosa, mentre dall’altro all’irritazione chimica della radice da parte dell’ernia che vi entra in contatto. In quest’ultimo caso, il materiale erniario che normalmente non è presente in quella sede, genera una risposta di difesa da parte della radice, con l’attivazione delle difese immunitarie del corpo per innescare e coordinare l’allontanamento dell’“intruso” e la riparazione del danno. Anche questa risposta infiammatoria è spesso talmente violenta –  e considerando che si tratta di un meccanismo di difesa, potremmo anche dire “talmente efficace” – che un antidolorifico spesso riesce solo scarsamente a interferire. 

Riassumendo, che si tratti di una violenta e protratta contrattura muscolare, come nel caso del mal di schiena non specifico oppure di una forte infiammazione da risposta immunitaria o da compressione diretta nel caso dell’ernia del disco, i comuni antidolorifici, perlomeno nel periodo iniziale, possono risultare poco efficaci.

 

Devo fare il cortisone per il mio mal di schiena, per la mia sciatica ?

Nel caso della sciatica, il cortisone si rivela spesso molto utile, mentre è molto meno indicato nel mal di schiena comune. Vediamone il perché. 

 

Una volta che i comuni antidolorifici non si siano rivelati efficaci, occorre passare a una fase successiva, introducendo un altro tipo di farmaco. É a questo punto che viene, spesso, introdotto il “cortisone”, nominativo generalistico per descrivere comunemente la classe dei farmaci steroidei. 

Il cortisone, come già illustrato, non è un antidolorifico ma è un potente antinfiammatorio

Vediamo come agisce nei due scenari presi in esame, ovvero il mal di schiena comune e la sciatica. 

Nel mal di schiena comune, o non specifico, trattandosi come detto di una forte e spesso violenta e duratura contrattura muscolare, la possibilità di un effetto positivo del cortisone dipende molto dal momento. Se la contrattura si è instaurata di recente, cioè da qualche giorno, il cortisone non andrà ad aggiungere granché al miglioramento del dolore. 

La contrattura acuta è, infatti, un fenomeno funzionale del corpo, del muscolo, una risposta riflessa. É in genere dovuta a un sovraccarico della struttura muscolare, al punto che si crea uno strappo di fibre muscolari più o meno esteso. La risposta automatica del muscolo sarà quella di irrigidirsi, di contrarsi e compattarsi per evitare, così, ulteriore danno alla sua struttura. Un fenomeno di difesa del tutto naturale, se vogliamo. Ma al pari di un animale o anche di una persona spaventata che si ritira in sé, si blocca, a seguito di uno spavento, risulta difficile, anche nel caso del muscolo, “convincerlo” a rilassarsi e di conseguenza a non fare più male. È necessario, quindi, un certo periodo di tempo affinché lo “spavento” possa passare e la struttura ritornare al suo stato normale.

É precisamente in questo periodo iniziale, acuto, che il comune antidolorifico può essere poco efficace e sarà poco efficace anche il cortisone, considerando che non è in gioco, o in atto, nessun tipo di infiammazione. 

L’infiammazione nel mal di schiena comune si instaura in genere solo in un secondo momento

Se la contrattura muscolare dolorosa della schiena si protrae, infatti, oltre un certo periodo, settimane o mesi, si instaura un’infiammazione dei tendini, delle fasce muscolari e dei muscoli stessi perché queste strutture vengono sollecitate in maniera non armoniosa e corretta, il che a lungo andare innesca la risposta riparatrice del corpo e quindi scatena l’infiammazione. In questa fase, ovvero laddove nel mal di schiena comune si instauri anche l’infiammazione oltre alla contrattura, il cortisone può dare beneficio, rimanendo comunque pur sempre solo un trattamento sintomatico, cioè che non affronta il problema all’origine. 

Nella sciatica da ernia del disco, invece, il discorso è diverso. 

Come già accennato, l’infiammazione, dovuta all’irritazione chimica che il materiale discale esercita sul nervo, è un fenomeno che genera il dolore già dal primo momento: ne è, infatti, solitamente la causa. É quindi evidente come in questo caso un farmaco che inibisca l’infiammazione abbia buone possibilità di calmare il processo e quindi anche il dolore. 

 

Devo fare della fisioterapia per il mio mal di schiena, per la mia sciatica ?

Il ruolo della fisioterapia, sia passiva che attiva, è fondamentale nel mal di schiena comune, mentre è meno evidente nel caso della sciatica da ernia del disco. Vediamone il perché…

 

Il mal di schiena comune, come già visto, è generalmente dovuto a una contrattura muscolare dolorosa e duratura che, per definizione, non ha alla sua base un danno strutturale della colonna vertebrale. Abbiamo anche considerato che i farmaci antidolorifici sono spesso poco efficaci in queste contratture che, proprio come qualsiasi crampo, hanno bisogno di uno stiramento del muscolo che è andato in spasmo

Risulta quindi evidente come la fisioterapia possa giocare un ruolo molto importante per allungare e stirare la muscolatura, decontratturare e sfiammare il muscolo tramite massaggi e applicazioni di macchinari come la Tecar , Laser o Ultrasuoni. Mentre queste ultime afferiscono all’ambito della fisioterapia passiva – ovvero il paziente non partecipa attivamente al trattamento – è molto importante anche la fisioterapia attiva. In questo caso, il paziente deve eseguire certi movimenti che avranno lo stesso scopo, quello di stirare e allungare la muscolatura (stretching) e poi gradualmente incrementare sempre più il carico del lavoro fino a fare esercizi su base regolare che mobilizzano e fortificano la muscolatura. 

Lo scopo di questo rafforzamento della muscolatura sta proprio nel renderla meno vulnerabile a nuovi strappi o stiramenti, migliorarne il tono e la circolazione e così prevenire futuri attacchi. 

Nel caso della sciatica da ernia del disco, la fisioterapia può sempre essere indicata, ma nella fase iniziale è meno fondamentale. Trattandosi di un dolore che origina dall’infiammazione del nervo, da un lato per l’irritazione chimica causata dal materiale discale, dall’altro dalla compressione diretta del nervo, l’obiettivo deve essere quello di sfiammare il nervo per controllare il dolore. In questa fase infiammatoria, infatti, il ruolo della fisioterapia è ancora dibattuto fra chi consiglia di attendere ad attivare la fisioterapia finché il peggio dell’infiammazione passi e chi, invece, suggerisce di intervenire subito. Utili nella fase iniziale possono essere tecniche fisioterapiche che mirano al controllo del dolore come la TENS, un’elettrostimolazione transcutanea che può modulare la risposta dolorosa del nervo.

Posso continuare il mio lavoro con il mal di schiena? Che attività fisiche e sportive posso fare, c’è qualcosa che devo evitare?

Nel mal di schiena non specifico o comune (senza danni alla colonna vertebrale), non c’è generalmente nessuna controindicazione nel praticare determinate attività lavorative o sportive. Trattandosi di un problema principalmente muscolare, il rischio di arrecare danno alla schiena con una determinata attività non è più alto che per qualsiasi altra persona che non soffra di mal di schiena. 

Ciò non vuol dire che per una determinata persona, una specifica attività non possa essere più dolorosa o meno praticabile che per un’altra. Il paziente che soffre di mal di schiena dovrebbe, infatti, liberamente cercare di individuare una o più attività che si adattino alla sua condizione, e praticarle regolarmente. L’importanza dell’attività fisica nel mal di schiena non sta tanto in “cosa” si fa, ma “quanto regolarmente” lo si fa. L’obiettivo finale, come sempre in questa condizione, deve essere quello di mantenere una buona movimentazione e tonificazione muscolare. 

Infine, il controllo del peso corporeo diventa molto importante per chi soffra di mal di schiena. Va da sé  che più peso la schiena deve portare, più tende a sovraccaricare la muscolatura, specie se non allenata o indebolita per l’immobilità a causa di un problema strutturale o per il semplice invecchiamento. Consigliare al paziente sovrappeso di intraprendere un percorso di dimagrimento con l’aiuto, se necessario, di un nutrizionista o dietologo può solo essere utile ai fini di un buon trattamento e della prevenzione di eventuali, spiacevoli problemi futuri.

Sono a tua completa disposizione per parlare insieme del tuo caso